Ricorso  per  conflitto  di  attribuzioni  ex  art.   134   della
Costituzione nell'interesse della Regione Siciliana, in  persona  del
Presidente pro tempore Sebastiano Musumeci, rappresentato  e  difeso,
sia congiuntamente che disgiuntamente, giusta  procura  in  calce  al
presente atto, e come da delibera di Giunta regionale 25 novembre  n.
494,    dagli    avvocati    Gianluigi    Maurizio    Amico     (PEC:
gianluigimaurizioamico@pecavvpa.it)  e   Giuseppa   Mistretta   (PEC:
giuseppa.mistretta@pec.net) dell'Ufficio legislativo e  legale  della
Presidenza della Regione Siciliana (fax  091-6254244),  elettivamente
domiciliato presso la sede dell'Ufficio della  Regione  Siciliana  in
Roma - via Marghera n. 36; 
    contro: 
        il Governo della Repubblica, in persona  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma, Palazzo Chigi -
piazza  Colonna  n.  370   -   rappresentato   e   difeso   ex   lege
dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma - via dei
Portoghesi n. 12; 
        la Corte dei conti Sezioni riunite in sede giurisdizionale in
speciale composizione, con domicilio in Roma - via  A.  Baiamonti  n.
25, resistenti; 
    per la risoluzione del conflitto di attribuzione insorto  tra  la
Regione Siciliana e la Corte dei conti Sezioni  riunite  in  speciale
composizione, in sede giurisdizionale,  per  effetto  dell'emanazione
del dispositivo reso all'udienza del 7 ottobre 2021, in relazione  al
ricorso n. 740/SR/DELC/, proposto ex art. 11, comma  6,  lettera  e),
c.g.c.. dalla Procura  Generale  presso  la  sezione  giurisdizionale
d'appello della Corte dei conti per la Regione Siciliana  avverso  la
decisione di parifica  del  Rendiconto  della  Regione  Siciliana  n.
6/2021/SS.RR./PARI resa dalle Sezioni riunite della Corte  dei  conti
per la Regione Siciliana. 
    In particolare per  la  dichiarazione  che  la  Corte  dei  conti
Sezioni riunite in speciale composizione in sede giurisdizionale, con
l'emanazione  della  citata  decisione  ha   leso   le   attribuzioni
costituzionali riconosciute alla Regione  Siciliana  e  nella  specie
l'autonomia e l'esercizio delle prerogative dell'Assemblea  regionale
siciliana (ARS), non arrestando la  procedibilita'  del  giudizio  di
appello a seguito della promulgazione della legge regionale n. 26 del
2021,  di  approvazione  del  Rendiconto  2019,  in  violazione  alle
disposizioni di cui all'art. 100 del codice di  procedura  civile  ed
all'art.  150  del  regio  decreto  n.  827/1924,  ed   in   assoluta
controtendenza con la consolidata giurisprudenza nella materia che ha
sempre riconosciuto la funzione ausiliaria nel giudizio  di  parifica
del  rendiconto  della  Corte  dei  conti  e   l'intangibilita'   del
rendiconto successivamente  ed  autonomamente  approvato  dall'Organo
legislativo. 
 
                                Fatto 
 
    l. In data 2 luglio 2021 e' stata depositata in Segreteria  dalle
Sezioni riunite della Corte dei conti per  la  Regione  Siciliana  in
sede di giudizio di parifica del rendiconto  generale  della  Regione
Siciliana  per  l'esercizio  finanziario  2019,   la   decisione   n.
6/2021/SS.RR./PARI, il cui dispositivo era  stato  letto  all'udienza
del 18 giugno 2021. 
    Con ricorso ex art. 11, comma 6, lettera e),  c.g.c.  la  Procura
Generale presso la Sezione giurisdizionale d'Appello della Corte  dei
conti per la Regione Siciliana, ha impugnato la suindicata  decisione
limitatamente ai profili relativi a: 
        Fondo crediti di dubbia esigibilita' (FCDE)  accantonato  nel
risultato di amministrazione del  rendiconto  relativo  all'esercizio
finanziario 2019 e calcolato sulla base  delle  risultanze  contabili
relative al  quinquennio  2014/2018,  conformandosi  all'orientamento
espresso dalle Sezioni riunite per la Regione Siciliana  della  Corte
dei conti (SS.RR.)  nella  decisione  n.  6/2019/SS.RR./PARI  che  ha
definito  il  giudizio  di  parificazione   per   l'esercizio   2018,
costringendo la Regione a mutare le precedenti modalita' operative; 
        capitoli di spesa 9000023 e 214918 e di entrata  3684,  3685,
3358, 3415, 3486 e 3365,  sollevando  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 6  della  legge  regionale  n.  3/2016,  con
riferimento agli articoli 81,  terzo  comma  e  117,  secondo  comma,
lettere e) ed m), della Costituzione, motivandola, sotto  il  profilo
della  rilevanza,  con  la  circostanza  che   l'accoglimento   della
questione provocherebbe «l'aumento del disavanzo  da  fondi  ordinari
della Regione e l'obbligo  del  reintegro  dei  fondi  vincolati  non
regionali per pari importo»; e  sotto  il  profilo  della  fondatezza
limitandosi a contestare genericamente l'affermazione  delle  SS.RR.,
secondo la quale, nel caso di specie,  non  sussisterebbero  elementi
processuali idonei a ravvisare la lesione dei LEA. 
    La Regione Siciliana  si  e'  costituita  nel  relativo  giudizio
sostenendo che con la deliberazione 7  settembre  2021,  n.  354,  la
Giunta di Governo della Regione Siciliana ha esitato  il  disegno  di
legge  «Approvazione  del  Rendiconto  generale  della  Regione   per
l'esercizio finanziario 2019 e del Rendiconto consolidato di  cui  al
comma 8 dell'art. 11 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 e
successive modifiche ed integrazioni». 
    Esso e' stato depositato  presso  l'organo  legislativo  e  cioe'
l'Assemblea regionale siciliana (ARS), assumendo il numero di disegno
di  legge  (ddl)  1067.  La  II  Commissione  legislativa  permanente
Bilancio dell'ARS ha trattato ed esitato favorevolmente  il  predetto
disegno di legge nella seduta del 15 settembre u. s., come risultante
dal relativo verbale-ordine del giorno. In  data  21  settembre  2021
sono iniziati i lavori dell'aula poi sfociati  nell'emanazione  della
legge regionale 30 settembre 2021, n. 26, pubblicata nella G.U.R.S. 5
ottobre 2021, n. 44, parte I. 
    La Regione Siciliana nelle difese spiegate  ha  pregiudizialmente
sostenuto,  l'inammissibilita'/improcedibilita'   del   ricorso   per
sopravvenuta carenza dell'interesse ad agire, e quindi la  cessazione
della  materia  del  contendere,  a  seguito  dell'approvazione   del
rendiconto generale della Regione Siciliana. 
    Cio', alla luce di una giurisprudenza  consolidata  delle  stesse
Sezioni  riunite  della  Corte  dei  conti,  le  quali  in   analoghe
fattispecie  hanno  sempre  affermato  che  l'interesse  a  ricorrere
permane «fintantoche' l'Assemblea legislativa della  Regione  stessa,
nell'esercizio  delle  sue  prerogative  autonomamente  esercitabili,
approvi con legge il rendiconto generale. Detta legge ... fa  cessare
... l'interesse ad agire, precludendo cosi' la possibilita'  di  ogni
impugnazione sulla deliberazione emessa al termine  del  giudizio  di
parifica» (cfr. sentenza n. 27/2014/EL e n. 44/2017/EL). 
    Si  tratta  di  una  conclusione  derivante  dalla  funzione   di
ausiliarieta'  che  il  giudizio  di  pari   fica   svolge   rispetto
all'assemblea  legislativa  regionale,  chiamata  ad   approvare   il
rendiconto.  Nella  considerazione  che  «la  decisione  di  parifica
costituisce, infatti, momento conclusivo dell'attivita' di  controllo
svolta dalla Sezione regionale di controllo e  funge  da  presupposto
necessario  e  ineludibile  per  pervenire   all'intangibilita'   del
rendiconto successivamente  ed  autonomamente  approvato  dall'Organo
legislativo (sentenza n. 27/2014/EL)». 
    Nella consapevolezza quindi, della piena distinzione ed autonomia
fra la sfera  di  competenza  della  Corte  dei  conti  e  l'autonoma
funzione politica della  Regione,  esercitata  quest'ultima  mediante
l'approvazione del rendiconto con legge  all'esito  del  giudizio  di
parifica e soprattutto alla luce della circostanza che  «le  funzioni
di controllo non possono essere spinte sino a vincolare il  contenuto
degli atti legislativi o a privarli dei  loro  effetti»,  e  che  «le
funzioni della Corte dei  conti  trovano  un  limite  nella  potesta'
legislativa dei Consigli  regionali  che,  in  base  all'assetto  dei
poteri stabiliti dalla Costituzione, la esercitano in piena autonomia
politica, senza che organi a essi estranei possano ne' vincolarla ne'
incidere sull'efficacia degli atti che ne  sono  espressione»  (Corte
costituzionale sentenza n. 39/2014, Corte dei conti, Sezioni  riunite
in s.g. in speciale composizione sentenza n. 1/2019/EL). 
    Nel  merito,  ha  comunque  sostenuto  che   l'approvazione   del
rendiconto con legge e la conseguente cessazione  della  materia  del
contendere   rendono,   altresi',   irrilevante   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art.  3  della  legge  regionale  n.
3/2016, sollevata dal ricorrente, il cui presupposto e',  oltre  alla
non manifesta infondatezza, la rilevanza ai fini della decisione  nel
presente giudizio. 
    D'altronde,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
citato art. 6 della l.r.  n.  3/2016,  gia'  sollevata  dallo  stesso
Procuratore generale era stata dichiarata inammissibile dalle  SS.RR.
per la Regione Siciliana in Sede di controllo, che ha avuto  modo  di
evidenziare che «il PM, effettuata una ricognizione delle  criticita'
emerse in sede istruttoria circa la c.d. "perimetrazione sanitaria" e
richiamate recenti pronunce della Corte costituzionale in materia  di
garanzia  dell'erogazione  dei  LEA,  nulla   argomenta,   viceversa,
sull'effettiva incidenza della  norma  ai  fini  della  decisione  da
assumere, anche alla luce degli esiti del contraddittorio  effettuato
nell'adunanza del 3 giugno. 
    Il  vaglio  della  rilevanza,  infatti,  secondo  il   prevalente
orientamento giurisprudenziale piu' recente, deve tener  conto  della
circostanza che  la  norma  cui  la  questione  si  riferisce  dovra'
necessariamente trovare applicazione, secondo  un  nesso  di  stretta
strumentalita', non potendo, il  giudizio  a  quo  essere  altrimenti
deciso. 
    Peraltro,  nella  specie,  come  emerge   anche   dalla   memoria
depositata dall'Amministrazione regionale sulla prospettata questione
di legittimita' costituzionale, non sussistono  elementi  processuali
idonei a ravvisare la lesione dei LEA. 
    Inoltre, quale constatazione dirimente, non sussiste  neppure  il
nesso  di  pregiudizialita'  normativa,  poiche'  come  emerge  dalla
relazione di  accompagnamento  e  dalla  presente  deliberazione  sul
rendiconto (v infra pag. 77 ss.), la vigenza  delle  disposizioni  in
questione  non  impedisce  alle  Sezioni  riunite  di   adottare   la
dichiarazione di irregolarita' delle  spese  individuate  all'interno
del  "perimetro  sanitario.   In   conclusione,   la   questione   di
legittimita'  costituzionale  sollevata  dal  pubblico  ministero  va
dichiarata  inammissibile,  non  avendo  la  Parte  pubblica  neppure
individuato   i   capitoli   di   spesa   inficiati   dalla   dedotta
illegittimita' costituzionale, e comunque  irrilevante  ai  fini  del
presente  giudizio  sul  rendiconto  della  Regione   Siciliana   per
l'esercizio 2019». 
    Peraltro,  la  prospettazione  assiomatica  di  insufficienza  di
risorse finanziarie sul  Fondo  sanitario,  da  cui  deriverebbe  una
inadeguata erogazione dei LEA nel corso dell'anno  2019,  non  appare
sostenuta  da  specifici  elementi  a  supporto   ed   anzi   risulta
contraddetta dall'analisi delle risultanze finanziarie  validate  dai
tavoli tecnici ministeriali. 
    Con riferimento, invece, alla corretta quantificazione del  FCDE,
si sono contestate  le  tesi  spiegate  ex  adverso,  richiamando  le
precedenti pronunce della Corte dei conti per  la  Regione  Siciliana
sul  tema,  gia'  in  sede  di  verifica  del   rendiconto   generale
dell'esercizio 2017, con  la  quale  e'  stato  sottolineato  che  il
quinquennio da prendere a riferimento ai fini del calcolo della media
delle  riscossioni  per  il  corretto  computo  del  FCDE  e'  quello
antecedente  all'esercizio  finanziario  in  esame  (ovvero  per   il
rendiconto 2018, il quinquennio 2013-2017 e, conseguentemente, per il
rendiconto 2019, il quinquennio e' quello 2014-2018). 
    2. Cio' posto, all'udienza del 7 ottobre  2021,  fissata  per  la
discussione del ricorso i procuratori generali  nell'esercizio  della
funzione requirente, hanno ritenuto preliminarmente inammissibile  la
questione di correzione di errore materiale sollevata dal Procuratore
regionale presso la sezione di controllo per la Regione Siciliana sul
testo della decisione di Parifica, poi impugnata, ed hanno chiesto al
collegio  la  declaratoria  della  cessazione   della   materia   del
contendere per sopravvenuta carenza di interesse ad agire, a  seguito
della promulgazione  della  citata  legge  regionale  n.  26/2021  di
approvazione del Rendiconto 2019. 
    Anche la difesa regionale, ha  insistito  per  l'improcedibilita'
del ricorso richiamando gli scritti difensivi. 
    A conclusione dell'udienza di discussione, la Corte dei  conti  a
Sezioni riunite in  s.g.,  in  speciale  composizione  ha,  tuttavia,
pronunciato il seguente dispositivo: 
        «accoglie l'istanza di correzione di errore materiale e,  per
l'effetto,  dispone  che  in  fronte  della  decisione  sia   apposta
l'intestazione "In nome del popolo italiano": 
        accoglie il primo motivo di ricorso e, per l'effetto, accerta
che  il  Fondo  crediti   di   dubbia   esigibilita'   debba   essere
rideterminato in aumento  di  euro  43.503.986,07  anziche'  di  euro
34.992.196,45 come accertato dalle Sezioni riunite siciliane; 
        con separata ordinanza,  solleva  questione  di  legittimita'
costituzionale  in  merito  all'art.  6  della  legge  della  Regione
Siciliana 17 marzo 2016, n. 3 e conseguentemente sospende il giudizio
quanto agli effetti sul  saldo  determinato  dai  capitoli  di  spesa
interessati dalla suindicata legge». 
    Il  dispositivo  impugnato  e'  illegittimo  e  violativo   delle
attribuzioni costituzionali e  statutarie  della  Regione  Siciliana.
Nelle  more  del  deposito  delle  motivazioni   della   sentenza   e
riservandosi  di  integrare  le  proprie   difese,   se   ne   chiede
l'annullamento per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1. Lesione da parte della Corte dei conti a Sezioni riunite in  s.g.,
in   speciale    composizione    delle    attribuzioni    legislative
costituzionalmente garantite alla Regione Siciliana. 
a) Sull'ammissibilita' del ricorso. 
    Le  regioni   possono   proporre   ricorso   per   conflitto   di
attribuzioni, a norma dell'art. 39, primo comma, della legge 11 marzo
1953, n. 87,  quando  esse  lamentino  una  lesione  di  una  propria
competenza costituzionale. Sin dalla sentenza  n.  40  del  1977,  la
Consulta adita ha affermato che «la natura dell'atto, che si  affermi
invasivo dell'altrui competenza costituzionale, non ha  mai  assunto,
nella giurisprudenza di questa Corte, rilievo  determinante  ai  fini
dell'ammissibilita' di conflitti tra Stato e regioni». 
    Percio', in antitesi rispetto a precedenti  pronunce  in  cui  la
prospettiva  adottata  era  stata  quella   della   c.d.   vindicatio
potestatis, l'idoneita' dell'atto a fungere  da  base  dei  conflitti
intersoggettivi da c.d. interferenza  o  da  menomazione  viene  oggi
misurata in relazione non gia' alla natura dell'atto stesso, ma «alla
[rispettiva] potenziale lesivita'  dell'ordine  costituzionale  delle
competenze». 
    In tale direzione «la figura dei conflitti di attribuzione non si
restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del
medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per
se', ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo
esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di
attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto». 
    Nel campo specifico dei rapporti con l'Autorita' giudiziaria,  la
giurisprudenza costituzionale si e' attestata su una  concezione  del
conflitto  come  un'estensione  o  rovesciamento   della   vindicatio
potestatis, cioe' come contestatio potestatis. Lo stesso concetto  si
e' espresso con la locuzione «superamento  di  limiti  esterni»,  dal
quale derivi un'illegittima situazione  di  soggezione,  indipendente
dal contenuto dell'atto dell'Autorita' giudiziaria. 
    Nella fattispecie, non spetta a organi giudiziari alcun potere di
ingerenza nell'esercizio delle funzioni costituzionalmente  riservate
alla Regione che connotano il «livello costituzionale  dell'autonomia
garantita alla Regione», la' dove si abbia estrinsecazione di  scelte
politiche libere, sanzionabili solo politicamente (per  il  principio
Corte costituzionale n. 70/85 e n. 337/2009). 
    In  tutti  questi  casi,  il  conflitto  verrebbe,   infatti,   a
configurarsi  non  come  controllo   sul   contenuto   dell'attivita'
giurisdizionale, ma come garanzia di sfere  di  attribuzioni  che  si
vogliono costituzionalmente protette  da  interferenze  da  parte  di
organi della giurisdizione o che si vogliono riservare  al  controllo
di altra istanza costituzionale. 
    Anche di recente, infatti, codesta ecc.ma Corte ha avuto modo  di
chiarire che «(i)n disparte la possibilita' che  l'atto  oggetto  del
conflitto possa essere altresi' impugnato  in  sede  giurisdizionale,
quel che rileva e' (...) il tono costituzionale del conflitto stesso,
il quale sussiste  quando  il  ricorrente  non  lamenti  una  lesione
qualsiasi, ma una lesione delle proprie  attribuzioni  costituzionali
(ex plurimis, sentenze n. 28 del 2018, n. 87 del 2015  e  n.  52  del
2013)»: sicche', "q)uando (...) oggetto di ricorso siano  sentenze  o
altri  atti  giurisdizionali,   il   conflitto   intersoggettivo   e'
costantemente  ritenuto  ammissibile,  in  presenza  delle  anzidette
condizioni». 
    Da qui, la  piena  ammissibilita'  anche  del  presente  ricorso,
attraverso il quale, per l'appunto, la Regione  non  intende  affatto
negare l'esercizio della  funzione  giurisdizionale  da  parte  della
Corte dei conti, bensi' il venir meno in  concreto  dell'utilita'  di
una pronuncia del medesimo Collegio in conseguenza  dell'approvazione
del rendiconto con legge. Circostanza  che  avrebbe  dovuto  condurre
l'Organo giurisdizionale ad arrestare il procedimento, dichiarando la
cessazione della  materia  del  contendere,  non  in  relazione  alla
composizione degli interessi delle  parti,  ma  per  il  sopravvenuto
venir meno dell'interesse ad agire. 
b) Sulla violazione delle Prerogative costituzionali. 
    L'art. 19, III  comma,  dello  Statuto  della  Regione  Siciliana
prevede che il rendiconto relativo all'esercizio finanziario,  venuto
in  scadenza  l'anno  precedente  e  predisposto  dal  Governo,   sia
approvato con legge dall'Assemblea. 
    Con il rendiconto generale, l'amministrazione regionale espone le
risultanze degli atti di gestione del bilancio  nel  corso  dell'anno
precedente. Il relativo  disegno  di  legge  e'  atto  di  iniziativa
governativa e la sua approvazione da  parte  dell'organo  legislativo
costituisce  atto   tipico   di   controllo   politico   sull'operato
dell'esecutivo. 
    Nell'esplicazione di questa importante funzione  parlamentare  si
inserisce, storicamente, il giudizio  di  parifica  della  Corte  dei
conti che, sin dagli albori dello Stato unitario (cfr. articoli 29  e
32 della legge 14 agosto 1862, n. 800), ha  esercitato  una  funzione
certativa delle risultanze di gestione del bilancio pubblico. 
    Si segnala che gia' all'indomani  dell'entrata  in  vigore  della
Costituzione repubblicana,  la  Regione  Siciliana,  con  il  decreto
legislativo di attuazione n. 655  del  1948,  ha  fatto  rinvio  alla
disciplina  nazionale  circa  le  modalita'  di  presentazione  e  la
struttura  stessa  del  rendiconto,  di  guisa  che  il  giudizio  di
parifica, da parte delle Sezioni riunite per la Regione Siciliana, e'
sempre intervenuto quale momento fondamentale del ciclo  di  bilancio
ai sensi degli articoli 39, 40 e 41 del testo unico sulla  Corte  dei
conti di cui al regio decreto n. 1214 del 1934. 
    Con riferimento alle regioni, tra l'altro, l'articolo 1, comma 5,
del decreto-legge n. 174/2012 prescrive, all'ultimo periodo, che  «La
decisione di parifica e la relazione  sono  trasmesse  al  presidente
della Giunta regionale e al Consiglio regionale», con il  sostanziale
obiettivo di adattare all'assetto istituzionale regionale  il  modulo
procedurale previsto per lo Stato, che  vede  la  trasmissione  della
decisione della Corte dei conti al Parlamento, unitamente  alla  gia'
esposta relazione ex art. 41, regio decreto n. 1214/1934. 
    Ha chiarito in proposito la Corte costituzionale  adita  che  «Il
Parlamento viene successivamente chiamato ad approvare a sua volta  -
nell'esercizio della sua autonoma funzione politica -  il  rendiconto
governativo (art. 81, comma 1, Cost.)» (Corte cost. 19 dicembre 1966,
n.  121).  Tali  principi  affermati  dalla  Consulta,  afferendo  ai
connotati ontologici del giudizio di parifica e del  suo  esito,  non
possono che riferirsi anche alla parifica del  rendiconto  regionale,
che costituisce anch'essa espressione della  funzione  «referente  ed
ausiliaria» della Corte dei conti  (art.  100  Cost.)  nonche'  della
posizione di indipendenza, terzieta' e  imparzialita'  con  la  quale
detta funzione e'  esercitata  (art.  108  Cost.)  nei  confronti  di
Parlamento  e  Governo,  quali  supremi  organi   costituzionali   di
indirizzo politico-amministrativo. La funzione ausiliaria e referente
della  Magistratura  contabile  preposta  non  possono   che   essere
pertinenti anche con riferimento a Consiglio e Giunta  regionale  (da
investire degli esiti della  verifica  in  forza  della  trasmissione
della delibera di parifica ai rispettivi  presidenti)  quali  supremi
organi di indirizzo politico-amministrativo e  di  Governo  regionale
(v. Corte conti, Sez. autonomie, 26 marzo 2013, n. 9). 
    Orbene, dato per assodato che la pronuncia avente per oggetto  il
rendiconto delle regioni a statuto speciale non  si  differenzia  dal
giudizio sul rendiconto generale dello Stato  (sentenza  n.  121  del
1966), la funzione di tale  decisione  e'  quella  di  concludere  un
procedimento complesso che  implica  la  verifica  della  regolarita'
amministrativo-contabile di tutte le operazioni sottostanti  i  conti
del bilancio, dello stato patrimoniale e del Conto economico. Cio' al
fine  di  dare  giuridica  certezza  alle  risultanze  del   bilancio
attraverso un sistema garante dell'affidabilita' degli enti circa  la
dimostrazione della situazione economico-finanziaria. 
    Con riguardo alla parifica del rendiconto, le sfere di competenza
della Regione e della Corte dei conti si presentano, quindi, distinte
e non confliggenti. Nella sostanza appare consolidato il principio in
base al quale nel giudizio di parifica le Sezioni  riunite  regionali
si  pronunciano  sul  rendiconto  regionale,  nell'esercizio  di  una
funzione rigorosamente neutrale e disinteressata, con una decisione a
carattere di definitivita'. 
    Purtuttavia,  assecondare  la  sindacabilita'   della   descritta
funzione di controllo, da parte delle  Sezioni  riunite  in  speciale
composizione in  sede  giurisdizionale,  anche  oltre  la  previsione
normativa,  potrebbe  avere  effetti  di   non   secondario   rilievo
costituzionale: il riconoscimento, in via  pretoria,  di  un  secondo
grado  di  giudizio   in   materia   di   parificazione,   a   fronte
dell'approvazione  con  legge  del  rendiconto   sulla   base   delle
indicazioni fornite in  sede  di  parifica,  comporta,  infatti,  una
interferenza in un procedimento legislativo di  esclusiva  pertinenza
regionale, con effetti inevitabili  su  di  una  prerogativa  propria
dell'assemblea legislativa regionale. 
    Sostanzialmente la vis espansiva,  esasperatamente  applicata  ad
atti preordinati a dare certezza  (delibera  di  parifica),  potrebbe
minarne in radice quell'attendibilita' che l'attivita'  di  controllo
ha inteso garantire, nella considerazione che la  stessa  si  esplica
con un provvedimento di natura giurisdizionale, non  impugnabile  nel
merito e quindi definitivo, idoneo, nel caso di specie, a  ledere  le
attribuzioni costituzionalmente garantite  alla  Regione,  oltre  che
dalle norme statutarie e  dalle  sue  norme  di  attuazione  (decreto
legislativo 18 giugno 1999, n. 200 «Norme di attuazione dello statuto
speciale della Regione Siciliana recanti integrazioni e modifiche  al
decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 655, in materia di  istituzione
di una sezione giurisdizionale regionale d'appello  della  Corte  dei
conti e di controllo sugli atti regionali»), dallo  stesso  titolo  V
della Parte seconda della Costituzione, che ha soppresso i  controlli
ad  effetto  giuridico  preclusivo  prima  esistenti,  dell'autonomia
finanziaria spettante alla Regione. 
    In definitiva si riprodurrebbero le stesse conseguenze che  hanno
condotto  a  ritenere  costituzionalmente  illegittimo  il  comma   7
dell'art. 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, che disciplinava  gli
interventi che gli enti controllati e, tra questi, le  regioni,  sono
tenuti a porre in essere in seguito alla pronuncia  del  giudizio  di
controllo operato dalla Corte dei conti ai sensi  dei  commi  3  e  4
nonche' le  conseguenze  della  mancata  adozione  degli  stessi.  In
particolare,  in  base  a  tale  disposizione,  dalla  pronuncia   di
accertamento adottata dalla competente sezione regionale di controllo
della Corte dei conti poteva conseguire «l'obbligo di adottare  (...)
i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarita' e a  ripristinare
gli  equilibri  di  bilancio»,  cioe',  nella  specie,  l'obbligo  di
modificare la legge di approvazione del  bilancio  o  del  rendiconto
mediante i provvedimenti, anch'essi  legislativi,  necessari  per  la
rimozione delle irregolarita' e  il  ripristino  degli  equilibri  di
bilancio. Dall'omissione della trasmissione di detti provvedimenti  o
dalla verifica negativa della sezione regionale  di  controllo  della
Corte dei conti  in  ordine  agli  stessi,  derivava  la  preclusione
dell'attuazione dei programmi di spesa per i quali fosse accertata la
mancata copertura o  l'insussistenza  della  relativa  sostenibilita'
finanziaria. 
    La disposizione impugnata attribuiva, dunque,  alle  pronunce  di
accertamento e di verifica delle sezioni regionali di controllo della
Corte dei conti l'effetto, da un canto,  di  vincolare  il  contenuto
della produzione legislativa delle Regioni, obbligate a modificare le
proprie leggi di bilancio, dall'altro, di inibire l'efficacia di tali
leggi in caso di inosservanza del suddetto obbligo  (per  la  mancata
trasmissione dei provvedimenti modificativi o  per  la  inadeguatezza
degli stessi). 
    La  Corte  adita  e'  stata   chiamata   ad   intervenire   sulla
disposizione richiamata, affermando che le citate  «conseguenze»  non
possono essere fatte discendere da  una  pronuncia  della  Corte  dei
conti, le cui funzioni di controllo non possono essere spinte sino  a
vincolare il contenuto degli atti legislativi o a privarli  dei  loro
effetti. «Le funzioni di controllo  della  Corte  dei  conti  trovano
infatti un limite nella potesta' legislativa dei  Consigli  regionali
che, in base all'assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione,  la
esercitano in piena autonomia  politica,  senza  che  organi  a  essi
estranei possano ne' vincolarla  ne'  incidere  sull'efficacia  degli
atti che ne sono  espressione  (salvo,  beninteso,  il  sindacato  di
costituzionalita'  delle  leggi  regionali   spettante   alla   Corte
costituzionale). La Corte dei conti, d'altro canto, e' organo  che  -
come,  in  generale,  la  giurisdizione  e  l'amministrazione  -   e'
sottoposto alla legge (statale e regionale); la  previsione  che  una
pronuncia delle sezioni regionali di controllo di detta  Corte  possa
avere l'effetto di inibire l'efficacia di  una  legge  si  configura,
percio',   come   palesemente   estranea   al   nostro    ordinamento
costituzionale  e  lesiva  della  potesta'   legislativa   regionale»
(sentenza n. 39/2014). 
    Se  cosi'  e',  ovvero  se  il  giudizio  di  parificazione  deve
intendersi quale sede naturale  per  accertare  gli  scostamenti  dai
parametri costituzionali e correggerli  preventivamente  in  modo  da
evitare successivi paralizzanti ricorsi  di  incostituzionalita',  la
pronuncia contestata,  a  fronte  della  emanazione  della  legge  di
approvazione del rendiconto -  conforme,  peraltro,  al  giudizio  di
parificazione espresso dalla  sezione  di  controllo  regionale  -  e
quindi dell'improcedibilita' del ricorso per sopravvenuta carenza  di
interesse  ad   agire,   interviene   forzatamente   sulla   potesta'
legislativa regionale con potenziali effetti inibitori sull'efficacia
della medesima legge regionale. 
    Proprio con riferimento ai contenuti di  tale  giurisdizione,  le
stesse Sezioni riunite della Corte dei conti in sede  giurisdizionale
in speciale composizione hanno gia'  avuto  modo  di  affermare  che,
quella  sorta  di  revisio  prioris  istantiae  del  tutto  peculiare
riconosciuta  allo  stesso  organo   giurisdizionale:   «e'   attuata
lasciando  in  ogni  caso  ferma  la  diversa  natura  delle  diverse
attribuzioni in sede di controllo e giurisdizionale della  Corte  dei
conti», sicche', nel caso  di  specie,  «la  revisio  e'  finalizzata
soltanto a verificare la conformita' rispetto  all'ordinamento  della
deliberazione emessa all'esito del giudizio di parifica,  e  al  solo
fine di determinarne  la  conferma  o  l'annullamento»  (sentenze  n.
2/2013/EL, n. 11/2014/EL e 44/2017). 
    La  revisio  prioris  istantiae  postula,  dunque,  nel  caso  di
impugnazione della delibera che conclude il giudizio di parifica,  un
insieme di poteri cognitivi da parte delle Sezioni  riunite  in  sede
giurisdizionale in speciale composizione finalizzati esclusivamente a
sindacare i limiti esterni della  funzione  attribuita  alla  Sezione
regionale nei termini sopra descritti  e  cio'  in  coerenza  con  la
peculiare natura del giudizio di parifica che, come ribadito si  pone
in  un  rapporto  di  ausiliarieta'  nei  confronti  delle  assemblee
legislative ed e' dunque teleologicamente  collegata  alla  legge  di
approvazione del rendiconto stesso. 
    La decisione di parifica costituisce, infatti, momento conclusivo
dell'attivita'  di  controllo  svolta  dalla  Sezione  regionale   di
controllo  e  funge  da  presupposto  necessario  e  ineludibile  per
pervenire  all'intangibilita'  del  rendiconto   successivamente   ed
autonomamente approvato dall'organo legislativo. Cio' e' in linea con
quanto affermato dalla Corte adita sin dalle prime pronunce (sentenze
n. 121 del 1966  e  n.  142  del  1968),  secondo  cui  la  parifica,
inserendosi obbligatoriamente nel rapporto Governo -  Parlamento,  ed
in posizione di indipendenza  rispetto  alle  assemblee  legislative,
riveste un ruolo  specifico  conferendo  certezza  ai  risultati  del
rendiconto    predisposto    dall'amministrazione.    Sicche',    pur
ipotizzandosi al momento della proposizione del ricorso un  interesse
ad agire del ricorrente, data l'idoneita'  astratta  della  pronuncia
richiesta al conseguimento del risultato utile sperato (art. 100  del
codice  di  procedura  civile),  a  seguito   dell'approvazione   del
rendiconto con  legge  viene  meno  in  concreto  l'utilita'  di  una
pronuncia del Collegio. 
    Ne'  e'  stata  accolta,   per   una   diversa   interpretazione,
l'argomentazione,  secondo  cui  l'approvazione  del  rendiconto   in
assenza della propedeutica ed essenziale dichiarazione di regolarita'
da parte della competente sezione della Corte dei conti - intesa come
compiuta definizione dell'intero iter, compreso  il  gravame  dinanzi
alle Sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione
- appare in conflitto con i principi di equilibrio di bilancio  e  di
necessaria copertura finanziaria. Cio' in quanto la non  utilita'  di
una   pronuncia   nel   merito   del    Collegio    in    conseguenza
dell'approvazione del rendiconto con legge regionale  deriva  proprio
dalla funzione di ausiliarieta' che il giudizio  di  parifica  svolge
rispetto all'assemblea regionale, secondo quanto piu' volte affermato
dalla Corte costituzionale nei precedenti sopra richiamati. 
    Alla stessa stregua dei principi sopra enunciati non  sono  state
accolte, in quella sede, le argomentazioni  della  Procura  generale,
secondo cui la richiesta formulata dalla Regione di cessazione  della
materia del contendere non poteva trovare accoglimento e all'uopo  e'
stato precisato che non si tratta, di dover dichiarare una cessazione
della materia del contendere in  relazione  alla  composizione  degli
interessi delle parti, ma si  tratta  di  accertare  il  sopravvenuto
venir meno dell'interesse ad agire, come e' avvenuto, per effetto del
venir meno in concreto dell'utilita' di una  pronuncia  del  medesimo
Collegio in conseguenza dell'approvazione del  rendiconto  con  legge
(sentenza Corte dei conti se. riunite n. 44/20l7). 
c) Sulla natura del giudizio di parificazione. 
    Ad  ogni  modo  la  difesa  regionale  non  ignora  come  si  sia
sviluppato recentemente un dibattito dottrinario intorno alla  natura
giuridica anche della stessa delibera di parifica, pur manifestandosi
da piu' parti l'esigenza di salvaguardare l'autonomia  delle  regioni
e, in particolare, le prerogative delle assemblee elettive. 
    Alla luce di quanto esposto, in  estrema  sintesi,  e'  possibile
individuare due differenti impostazioni ricostruttive. 
    Una prima, corroborata dalla giurisprudenza costituzionale,  tesa
a valorizzare l'attivita' tradizionalmente ausiliaria della Corte dei
conti in sede di giudizio di  parifica,  che  riconduce  la  delibera
nell'alveo dell'art. 100 Cost. e ne fa derivare la natura strumentale
all'esercizio della funzione legislativa. 
    Una seconda impostazione, al  contrario,  valorizzando  il  ruolo
della Corte dei  conti  nel  nuovo  scenario  costituzionale  in  cui
risalta il principio  dell'equilibrio  del  bilancio,  riconoscerebbe
alla decisione di parifica natura definitiva e vincolante. 
    Nella   sostanza   sembrerebbero   subire   una   tensione   quei
tradizionali caratteri della natura  «ausiliaria»  e  «collaborativa»
delle funzioni di controllo della Corte dei conti nei confronti delle
autonomie   territoriali,    che    costituiscono    i    presupposti
imprescindibili su cui la giurisprudenza costituzionale  ha  ritenuto
di poter fondare su basi sicure la «compatibilita'» con il  principio
autonomistico  dei  controlli  esterni  affidati  alla   magistratura
contabile, assicurandone una sorta di «pacifica convivenza». 
    Tale ultima ricostruzione, per vero, non e' condivisibile  specie
in assenza di una espressa volonta' del  legislatore  in  tal  senso.
Infatti, seppure e' innegabile il  rafforzamento  dei  controlli  sui
bilanci regionali voluto dal citato decreto-legge n. 174 del 2012, va
comunque ricordato che, nell'introdurre il giudizio di  parifica,  il
comma 5 dell'art. 1 si limita, significativamente,  a  rinviare  alle
norme del testo unico sulla  Corte  dei  conti,  in  nulla  innovando
rispetto al suo tradizionale ruolo ausiliario. 
    Inoltre,  come   visto,   nel   sanzionare   con   pronuncia   di
illegittimita' costituzionale, tra gli altri, il comma 7 dell'art.  1
del decreto-legge 174 del 2012 codesta Corte ha avuto modo dichiarare
che i consigli regionali esercitano la propria  potesta'  legislativa
«in piena autonomia politica senza che organi a essi estranei possano
ne' vincolarla ne' incidere sull'efficacia degli  atti  che  ne  sono
espressione (salvo,  beninteso,  il  sindacato  di  costituzionalita'
delle leggi regionali spettante alla  Corte  costituzionale)»  (Corte
costituzionale sentenza n. 39 del 2014). 
    Le carenze della vigente disciplina positiva del procedimento  di
parifica e le incertezze che ne discendono, soprattutto in termini di
applicazione uniforme di regole e  garanzie  che  risultino  adeguate
alla  predeterminazione  della  posizione,   dei   poteri   e   delle
prerogative dei soggetti coinvolti, sono di innegabile evidenza e non
possono condurre all'adozione di una concezione del controllo estrema
- anche in relazione al procedimento di  parifica  dei  rendiconti  -
attesa l'esigenza di rispettare  e  garantire  le  prerogative  delle
autonomie territoriali. 
2. Lesione da parte di  un  organo  dello  Stato  delle  attribuzioni
costituzionali della Regione Siciliana per violazione  del  principio
di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120, Cost. 
    La cooperazione leale e' il  principio  attraverso  il  quale  si
persegue il riequilibrio tra le istituzioni in conflitto, realizzando
il massimo  di  inclusione  possibile.  Di  fronte  a  un  conflitto,
pertanto, l'obiettivo e'  quello  di  individuare  la  soluzione  che
realizza in concreto la conciliazione tra gli interessi  di  cui  gli
organi costituzionali  sono  portatori,  in  modo  da  ricomporre  la
divisione e realizzare il massimo  di  inclusione,  di  unita'  e  di
collaborazione possibile. 
    La  funzione  cooperativa  emerge  da  una  serie  di  previsioni
costituzionali, fra le quali spicca per importanza  e  per  chiarezza
l'art. 120,  comma  II,  che  aggiunge  il  tassello  del  necessario
rispetto del principio di  leale  collaborazione  nell'esercizio  dei
poteri sostitutivi. Posizione, questa, abbracciata anche dalla  Corte
adita,  che,  richiamando  la  propria  giurisprudenza   in   materia
(sentenza n. 19 e n. 242 del 1997), ha confermato la portata generale
del principio di leale collaborazione, il  quale,  come  nell'assetto
precedente, non potrebbe che operare su tutto l'arco delle  relazioni
fra Stato e autonomie territoriali. 
    In tale  piu'  ampio,  ma  unitario  contesto,  si  inserisce  il
controllo affidato alle sezioni  regionali  della  Corte  dei  conti,
funzione che deve atteggiarsi quale attivita' di referto agli  organi
assembleari dello Stato, delle  regioni  e  degli  enti  locali,  con
carattere precipuamente collaborativo ed ausiliario, senza  vincolare
l'autonomia degli enti. Compito della  Corte  dei  conti  e'  quello,
quindi, di verificare, nel rispetto della  natura  collaborativa  del
controllo sulla gestione,  il  perseguimento  degli  obiettivi  posti
dalle leggi statali o regionali di principio e di programma,  secondo
la rispettiva competenza, nonche' la sana gestione finanziaria  degli
enti locali ed il funzionamento dei controlli interni. 
    La compatibilita'  di  un  controllo  esterno  collaborativo  con
l'autonomia degli enti soggetti alla verifica necessita di una  Corte
dei conti  che  tenga  primariamente  ben  distinte  le  funzioni  di
controllo  da  quelle  giurisdizionali,  evitando  che  il  controllo
esterno si  trasformi  da  collaborativo  a  fase  istruttoria  anche
prodromica. 
    Si pone, pertanto, come  determinante  un  intervento  diretto  a
definire i limiti dei controlli di natura repressiva,  piuttosto  che
collaborativi, che, al contrario dei  primi,  interferiscono  con  le
prerogative di autonomia. 
    Cio' soprattutto nella considerazione che se si dovesse ammettere
che le scelte di autocorrezione  dell'ente,  secondo  le  indicazione
fornite dalla sezione regionale di  controllo,  operate  in  sede  di
approvazione  della  con  legge  del  rendiconto,  possano  messe  in
discussione in sede di giudizio  contabile  successivo  al  controllo
collaborativo, si perverrebbe  a  riconoscere,  inevitabilmente,  una
conseguenza «sanzionatoria» in sede giurisdizionale. 
    Questa  visione  risulta  pero'  in  contrasto  con   l'autonomia
riconosciuta agli enti locali e alle regioni rafforzata dalla riforma
del titolo V della Costituzione,  soprattutto  se  si  considera  che
l'eventuale interferenza proviene da un organo esterno. 
    Si  assisterebbe,  quindi,  ad  un  forte  ridimensionamento  del
controllo collaborativo, che si dovrebbe estrinsecare nel sollecitare
ed attivare rimedi e misure adeguate  che  spettano,  pero',  in  via
esclusiva all'ente autonomo. 
    Cio' nel rispetto del principio autonomistico della costituzione,
in base al quale il potere di decidere sulla  spesa  pubblica  spetta
alle assemblee legislative (elette dal popolo)  non  essendoci  altro
soggetto che possa assumere determinazioni in tale ambito. Tutti  gli
altri soggetti devono orientare al meglio le scelte  verso  decisioni
efficienti, compatibili con i principi costituzionali, al fine di non
creare disequilibrio nella gestione della cosa pubblica. 
    Per  tutto  quanto  esposto  e  per  quanto  si  fa  riserva   di
ulteriormente produrre e dedurre,  la  Regione  Siciliana,  ut  supra
rappresentata,   difesa   e   domiciliata,   rassegna   le   seguenti
conclusioni.